mercoledì 25 febbraio 2015

2. Bruno Keller, prima intervista (come si prepara un film)

Un boxeur imbolsito, la barba di qualche giorno - Bruno Keller mi dà appuntamento in un pub su Via Merulana.
Ha un'età indefinita così com'è indefinito il colore dei capelli e quello degli occhi. Veste in modo vagamente sciatto, comodo senz'altro. Avrà comunque cinquant'anni o giù di lì.
Mi squadra, analizza con attenzione i miei movimenti. Mi trasmette un senso di instabilità, di intelligenza non pedante - più di una volta ripete d'essere una persona ignorante ma deve far riferimento a qualcosa che non colgo.
Odia la politica e il proprio lavoro di regista televisivo. Mi racconta di quando girava certi documentari etnografici e il suo volto s'illumina. Mi dice che adora i primissimi piani della gente - il tentativo ultimo di carpire qualcosa dell'altro. E che odia i dettagli - fotograficamente parlando - che trova leziosi.
Mi dice che, oggi, nel cinema come in televisione (per non parlare del web) si muove troppo la macchina da presa, a testimonianza d'un'inconsapevolezza ("chi muove troppo la macchina confessa di non sapere qual è il suo punto di vista" - mi appunto rapidamente queste cose).
Ma quando mi chiede "cosa vuole da me" sussulto perché, in effetti, non so esattamente quale sia la mia richiesta. Farfuglio qualcosa: "So che sta per iniziare un suo film".
"Mal'essere, il mio primo lungometraggio. Un'opera tardiva..."
Sorrido. "Mi piacerebbe seguire questa fase... prima che inizi a girare."
"Vuole seguire il casting?"
Ecco, perché no?
"Cosa vuol fare?" incalza, "un documentario su come si prepara un film?"
Mi sta offrendo un'idea - o un suo desiderio latente, un vezzo. "Esatto", fingo una sicurezza che non ho ancora.
"La sceneggiatura è chiusa..."
"Lo so."
"Sono anni che lotto per girare questo film. I matti ai quali ho fatto leggere la sceneggiatura erano tutti contenti, andavano su di giri. Ho conosciuto un sacco di produttori folli. Ma, poi, non se ne faceva niente. Troppi problemi il film, troppo scarsi loro..."
"Lo so."
Si ferma un attimo. Mi osserva. Uno sguardo curioso di cui non colgo il senso.
"Il mio film narra di un insegnante di scuola media sessuomane."
Fa una pausa. Forse s'aspetta che io dica qualcosa, che mi stupisca.
"Non è un porno".
Mi evito di dire "lo so".
Lui cambia posizione, si accomoda sulla sedia. "A volte mi diverto a dire che lo è, ma lo dico per incuriosire. In realtà voglio solo che le scene di sesso non siano simulate, questo è quanto. Di sguardi finti ce ne sono già troppi in giro. La finzione mi fa schifo. Fuori dalla verità, l'arte non ha senso".
Mi guarda e aggiunge, quasi come se ce l'avesse con se stesso: "Non faccia caso. Anche le frasi a effetto mi fanno schifo."
"Mi piacerebbe farle un'intervista sulla sceneggiatura, una cosa da riprendere in video, se le va."
"Ha bisogno d'un operatore? d'un fonico?"
"Farei tutto io. Una cosa semplice..."
"... e rozza, come me. Mi sta bene."
Non volevo dire questo. Si alza. La prima chiacchierata è finita. Paga il conto.
"Oggi vado di fretta. Quando vorrebbe iniziare?"
"Anche domani, se per lei va bene."
Continuiamo a darci del lei in un ambiente in cui il tu è d'obbligo.
"Mi dia qualche ora. Le faccio sapere." Va via, senza voltarsi.

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