venerdì 18 aprile 2014

TRUE LOVE

Sapete cos'è il vero amore?
Per alcuni - diciamo: per il mio personaggio, Bruno Keller - l'amore è una cosa così: pace.
Tranquillità. Coerenza. Sincerità. E... fatemici pensare... sì, intimità, condivisione. Complicità, ecco. Anche: esclusività - ma un'esclusività data per scontato, qualcosa che c'è, ovviamente c'è. C'è sempre, non bisogna discuterne.
Ah, ecco. Bruno e sua moglie non litigano mai. E, dopo vent'anni di matrimonio, oddio, non dico che si diano ancora del lei ma, insomma, sono proprio garbati l'uno con l'altro. E si vogliono un mondo di bene.
Lui dice sempre: scusa cara, mi passeresti, chessò, l'olio (ma non è che stanno girando una pubblicità e non è un vezzo: è che proprio appartiene al loro modo di essere e di fare).
E lei dice sempre: certo, caro. I no non le vengono giù bene, suonano, puntualmente, male.
La loro vita "amorosa", sentimentale, affettiva è proprio uguale a quella che leggi in certe riviste specializzate (tipo Sposarsi oggi o Il matrimonio perfetto).
Infatti sono sempre molto soddisfatti quando leggono queste cose e si confermano reciprocamente che le cose vanno proprio bene.
Sono, come dire, pacifici. No, non pacificati - sarebbe una cattiveria dire ciò. E' che proprio la loro vita scorre tranquilla. Come un lungo fiume tranquillo che, verrebbe da dire, non vede l'ora di arrivare alla foce per scoprire cos'è questo grande mare che li attende (a dirla tutta, hanno comprato anche un loculo dove, maniaci dell'ordine, soprattutto lei, ci hanno apposto già i loro nomi - un affare, un cimitero in pieno centro...)
Anche sessualmente le cose vanno benissimo: non fanno quasi più l'amore. Solo ogni tanto. Una volta ogni due o tre mesi, se se lo ricordano. Ma hanno letto - anche questo su una rivista specializzata... beh, se lo sono anche andati a cercare su google - che va bene così, che non conta la quantità ma la qualità, che sono importanti i ritmi condivisi, che non c'è una regola generale. Che se va bene a lei e se va bene a lui, allora l'unione è perfetta.
Anche i rapporti con l'esterno sono ben scanditi e pacificamente (oddio, torna questa parola!) approvati.
Lui gioca a tennis una volta la settimana, con l'amico di sempre.
Lei ha l'abbonamento al teatro (il venerdì sera) e al cineforum (il martedì sera): gli spettacoli e i film lui preferisce vederli a casa, sul meraviglioso schermo 52 pollici, 3D.
Ah. Poi lei va a lezioni di tango. E la cosa straordinaria e giusta è che lui non prova un pizzico di gelosia: ha questa fiducia - ben riposta, eh - in lei che proprio non lo smuove.
E anche lei ha fiducia in lui. Le dispiace vederlo un po' stressato dal lavoro e dal fatto che nessuno ancora riconosca le grandi doti che Bruno si porta dentro da sempre. Ma lui è troppo gentile e garbato e dolce per poter sfondare... Gli basta il lavoro che ha.
Loro rappresentano la famiglia perfetta. I figli non son voluti venire ma loro si bastano. Tutta questa cosa qui, tutto ciò che ho scritto finora, non è la back story, è il set-up. Cioè, sono quelle informazioni che veniamo a sapere leggendo le prime pagine di un possibile romanzo che parla d'una storia d'amore.
E se ciò che avete letto finora è ciò che intendete per "storia d'amore" allora potete essere contenti e il libro potrebbe concludersi dopo una decina di pagine - se sbrodolo e sto lì a descrivere dettagliatamente, minuziosamente, i personaggi, utilizzerò dieci pagine, venti.
Ora non so ancora cosa porterà Bruno a cambiare la sua vita. Non riesco a capirlo esattamente. Magari una stupidaggine: una mattina si alza, sono cinque giorni che non si fa la barba, ha il viso tirato da un'influenza incipiente e, ecco lì, si fa una foto, allo specchio. E vede, nell'immagine ripresa, una persona che conosce appena.
Di lì in poi le cose dovrebbero cambiare. E' necessario che entri un altro personaggio in scena, qualcuno che violenti le carte in tavola.
Dove mi piacerebbe arrivare? Boh, non so ancora.
A qualcosa del tipo: gelosia, mania, persecuzione, odio, angoscia, sesso, contraddizioni, rabbia, possesso, malattia, golosità, ansia, voglia di vita, velocità, sorsate d'aria, polmoni che si allargano, notti insonni, bui profondi e illuminazioni estreme, botte e graffi, un fare l'amore dove non puoi staccare le labbra dalle labbra dell'altro, morsi quindi, piacere, godimento, desiderio, paura di essere traditi, notte, inseguimenti, disperazioni, viaggi, treni, zingari che leggono le mani, sangue forse, debolezza e altre mille parole così, di questo genere, che messe tutte assieme ne generano una sola. Quale? Non so. Aiutatemi a dirla.

Ieri ho scritto un post - del quale mi vergogno profondamente tanto è scritto male. Se fossi un vero scrittore, un professionista, lo cancellerei, lo nasconderei, forse per rispetto del pubblico.
Ma io pubblico non ne ho. Ho amici, forse, che leggiucchiano quello che scrivo e manco me lo dicono, per non mettermi in imbarazzo.
Comunque, fatto sta che ho scritto questa manciata di righi: lì ho parlato proprio di questa cosa, dell'impossibilità, sempre più frequente, di trovare parole adeguate per dire di certi sentimenti, di certi moti dell'animo.
La sensazione è che proprio non ci siano le parole giuste, non esistano. E non è una mia incapacità (potrebbe benissimo esserlo, eh) ma è che proprio una semplificazione assurda dichiarare questa cosa qui "amore". Perché se era amore quello che provava Bruno per la moglie allora non è amore questo che prova per quest'altra donna. E, viceversa, inutile dirlo.
Ma se è amore in tutti e due i casi, allora la parola è terribilmente ambigua e non credo che con Wikipedia qualcuno riesca a disambiguarla (si dice così, no?)

Se riuscirò, un giorno o l'altro, a narrare questa storia, allora forse avrò trovato la parola giusta.
Intanto non mi arrendo e continuo a cercare, ad andare avanti. Anche nel silenzio di questa mia scrittura che, in qualche modo, mi parla quasi fossero i toni prodotti dagli stessi tasti, dallo stesso schermo che riflette un'immagine di me che riconosco a fatica, a dire la propria.

giovedì 17 aprile 2014

SE LA PAROLA AMORE NON BASTA

Ah, ma questa non è una lunga e noiosa dissertazione. E' solo un promemoria, qualcosa che sta lì a ricordarmi che devo rimettere mano a un concetto che mi sembra, ultimamente almeno, terribilmente stretto e... e presuntuoso, così pieno di sé, certo di indicare qualcosa, una direzione, una strada e un senso.
A me questo senso sfugge e la parola, così come è, non mi basta, mi sta stretta, perde di tono, manca d'interesse. La parola amore, dico.
Certo, questa cosa m'imbarazza. Volevo scrivere, vorrei scrivere, una storia d'amore e, ora, sto qui a mettere in discussione il termine stesso - il termine è ciò che conclude, no?
Oppure posso arrendermi, lasciare che il senso debordi, s'impenni, diventi un'altra cosa, magari oscena, ovviamente perversa. rimango incastrato in questa parola - amore - e non oso fuggire.
Mi fermo. Ci penso.
Mi prendo una pausa lunghissima.
Mi serve un'altra parola, lo so, me lo giuro.
Se devo parlare d'amore allora ho bisogno che la parola si allarghi, lasci entrare altra linfa, si riempia come un fiore che alla fine, così facendo, s'ingozza e si strozza. Mi serve, insomma, che questa parola un po' muoia e finalmente rinasca in modo che, nel mio testo, a qualcosa possa infine servire.
Come al solito bisogna morie per poter, finalmente, tornare.

domenica 13 aprile 2014

NULLA SARA' PIU' COME PRIMA

Le storie d'amore si muovono in questi universi assoluti.
E vengono narrate perché, puntualmente, tali affermazioni vengono messe in crisi - derise, strapazzate, annullate.
Eppure è questo che le storie d'amore dovrebbero narrare: eventi decisamente terminali, irreversibili, definitivi.
"Se facciamo l'amore, non si torna indietro" e le percezioni stesse delle cose cambieranno. Ci immergeremo in una liquidità amniotica e nessuno riuscirà più a raggiungerci. Saremo definitivamente persi - almeno per un mondo che, ora, è vecchio, superato.

Allora, vi siete decisi? Il sesso sta per diventare la chiave di volta d'un processo a catena che non riuscirete più a governare. Potete alzarvi, riprendere le vostre cose e fuggire via. Ritornerete al vostro mondo abituale e tutte le cose rimarranno al loro posto. Riconoscerete gli oggetti per quel che sono - cose morte, no? Sarete pacificati all'interno di un territorio che ben conoscete e che non vi fa nessuna paura.
Decidete.

Oppure una realtà ignota vi si aprirà davanti. Perderete la serena coscienza che vi appartiene. Il comodo alveo sparirà.
Non avete molto tempo per scegliere.
Ci interessano altre storie? La semplice linearità ci attrae?
Niente da fare.
Avete deciso.
L'abbracciate forte e la stringete a voi. Il gioco ha inizio. Nulla sarà più come prima.

lunedì 7 aprile 2014

UN INCONTRO D'AMORE

Cerco di far incontrare due personaggi.
Quello di lei mi piace molto. Lui un po' meno. Molto meno.
Lo vedo bene, durante questa premiazione. E' uno dei giudici e me lo trovo stravaccato su una poltroncina rossa, la barba incolta, un sorriso ebete stampato su una faccia da schiaffi che non diresti possibile, un jeans e una camicia con il colletto e i polsini sdruciti tanto a quella distanza chi vuoi che veda. E lo capisci benissimo che non c'è, che ha la testa altrove, che è tutta una finzione e che nemmeno si ricorda a chi ha dato i suoi voti e com'erano le opere che stanno premiando. Avrà, come al solito, fatto a suo modo, uno sguardo veloce, con la presupponenza di chi sa che è tutto inutile, che una  cosa vale l'altra, che il caso domina su tutto, che niente ha veramente senso.
E, naturalmente, non è vero, perché il cuore di qualcuno che ti sta di fronte palpita e freme e sta lì ad aspettare che, uno dopo l'altro, vengano scanditi i nomi dei vincitori e spera e ancora spera che il prossimo sia il suo e quando sente esattamente pronunciare il suo cognome una lettera dopo l'altra, con tutte le vocali al posto giusto ecco che le vien su un sorriso e dentro esulta ed esplode qualcosa nel centro del petto che saranno pure scariche elettriche o sinapsi che vanno in tilt ma il cuore va comunque a mille ed è tutto un tripudio di bei pensieri impossibili da decifrare e da raccontare e da mettere assieme, un qualcosa del tipo allora valgo, per qualcuno valgo, e i segni che vado a mettere assieme allora hanno un senso nel senso che piacciono, a qualcuno almeno piacciono. Insomma, ora, davanti a te, davanti ai tuoi stupidi occhi, qualcuno è felice anche grazie a qualche tua stupida intuizione, anche grazie a un voto che hai dato, anche se poi non sarai tu a distribuire gli attestati, a dire chi vale e chi non vale.
Tu stai lì,sbracato, a festeggiare un compleanno del quale nessuno è a conoscenza, che non vuoi condividere perché questi tuoi cinquant'anni belli tondi tondi pure ti stanno un po' sulle scatole e non sai che fare perché continui a non ritrovare quella cosa che tu chiami senso.
La cosa incredibile è che, anche grazie a te, ci sia questa felicità che in un punto impreciso della stanza è là che palpita e che ora, dopo tutto questo tempo, pure ti farebbe piacere poter individuare e nello spazio ricreato dalla memoria poter dire la vidi, vidi il suo piacere, lessi negli occhi il suo entusiasmo, sentii quasi il battito del suo cuore che mi diceva ti ringrazio perché anche grazie a te, oggi, in questo momento, sono veramente felice.
Ora fai uno sforzo e dici mi ricordo che avevi quel cappello verde da fantino e ci rimani male se lei ti ha detto no, non credo che avessi quel cappello. Ma tu, testardo, vuoi convincerti che quel cappello lo aveva e che ricordi perfettamente anche l'uomo che l'accompagnava - e menti talmente a te stesso che pensi di ricordare addirittura com'era vestito lui, ma non è vero, non puoi ricordare perché semplicemente non avevi fatto caso e non avevi visto, tutto preso dal tuo stupido riflettere su te stesso, ripiegato a pensare e a maledirti per ciò che non sapevi e non sai fare - amare.
Entri in scena così, subito, malmesso. Fai una brutta figura. Ho scelto per te un nome - ti chiamerai Bruno Keller e sei napoletano.
Lei, ovviamente, qui non la vediamo, perché avremmo dovuto vederla attraverso i tuoi occhi e, allora, di che parliamo?
La vedremo comparire mesi dopo quando, finalmente, te la troverai davanti e la guarderai e, almeno questo, saprai collocarla in uno spazio, in un posto, seduta su una poltroncina che, ora e per sempre, sarà la sua.
Da qui in poi saprai ricostruire dettagliatamente ogni suo movimento, ogni vostro passaggio: finalmente l'hai vista, l'hai notata, ti sei appuntato rapidamente certi suoi dati e, ora, con colpevole ritardo, si fisserà per sempre nei tuoi ricordi, sarà parte integrante dei tuoi ricordi e diventerà, per sempre, parte di te, parte cellulare, intendo, biologicamente innestata nelle tue fibre. Non potrai più tagliarla via, qualunque cosa accada.
Lo vedi come sei? Un personaggio antipatico, che non dovrebbe mai assurgere a protagonista, qualunque sia la storia. Me lo aveva detto già Massimo, che è uno scrittore vero e serio: i tuoi personaggi sono antipatici. E questo è un problema narrativo non secondario. Non ti viene proprio di inventare protagonisti simpatici ed empatici: in che modo pretendi che il tuo lettore entri nella storia? Ecco perché nessuno ti pubblica.
Ma allora, gli dico, e se questa storia fosse la più bella storia d'amore? Se il protagonista è così antipatico, cosa ci posso fare? Dovrei mentire? Trasformarlo? Reinventarlo? Dimmi tu.