giovedì 26 febbraio 2015

3. Una sceneggiatura inquietante: "Mal'essere" di Bruno Keller

Quando sono rientrato, stanotte, mi sono accorto che Bruno Keller mi aveva spedito la sceneggiatura del suo film, Mal'essere.
Ho iniziato a leggerla e andavo avanti spinto da certe aberrazioni che non avevo previsto.
Effettivamente la storia si porta dentro e addosso un che di perverso, di maniacale, di offensivo, che continua a perseguitarmi, che mi allontana e che, al contempo, mi tiene stretto.
Mi sento addirittura offeso da certe affermazioni che, fin dalle prime righe, mi schiaffeggiano senza ritegno. C'è qualcosa di insano in queste pagine e, al contempo, di sacrosanto. Inizio a capire cosa intendesse, Keller, per "verità", e come fosse maturato e reso intimo il suo odio per tutto ciò che è "finzione". Verità diventa sinonimo di sincerità assoluta, perfetta, sensibile, indiscutibile. E io non riesco a fare a meno di confondere il protagonista di Mal'essere con Bruno. Mi viene da dire che non può non essere lui - lo stesso sguardo malinconico, la stessa furia, l'ossessione quasi patologica per un sesso tutto volto e declinato al femminile - strano a dirsi per uno come Keller, lo so.
Mi è venuta voglia di chiamare il mio amico giornalista, quello che mi ha presentato Bruno, ma sono le due di notte. Ho bisogno di un confronto, di qualche chiarimento. Bruno Keller sta diventando improvvisamente invadente nella mia vita - è lui che mi obbliga a scrivere, uno scrivere che non va corretto, pena la perdita della verità, appunto.
Che racconto è questo? Un che di maledetto, di fortemente contraddittorio. La storia di un insegnante che perseguita una sua collega, la sua ex amante, perché la sola capace di portarlo a quel godimento sublime, l'unico per il quale vale la pena fare l'amore. E, poi, l'entrata in scena di una ragazzina, una sua alunna - impavida, volgare, violenta, sensuale, bastarda, figlia e nipote di camorristi. Una periferia napoletana che solo tangenzialmente (e, proprio per questo, più intimamente) ha a che vedere con quanto detto finora da altri, con quanto ci viene ripetuto in continuazione in televisione. Un malessere che ha a che fare con una psicologia della città, della metropoli, qualcosa che appartiene finemente all'aria, una polvere che entra nel corpo senza colpo ferire, senza lasciare traccia, senza lacerare la pelle.
Mal'essere è questo. E il protagonista è uno stalker, uno che rischia di macchiarsi di indicibili peccati, un essere abbietto che pure ha una debolezza che lo rende irrimediabilmente umano, passionale, indecente e vero - ancora.
Di tutte le porcherie che pratica con la sua nuova amante, una bidella, c'è da farne un bestiario. Un'amante che serve al misero scopo di far ingelosire la sua ex compagna... Ma, anche in questa azione, la cattiveria è di livello inferiore - c'è un rispetto riguardo al corpo della donna che, in qualche modo, rende accettabile la relazione,  relazione i cui termini chiarifica in modo inequivocabile.
Bruno Keller mi costringe a mettermi in gioco, a mettere in gioco il rapporto che ho con le donne. E' questo il territorio entro il quale nasce e si sviluppa la mia inquietudine. La storia di Mal'essere mi spinge e mi obbliga a dire la mia.
Eppure mi ripeto che non è possibile che, in un tempo così breve, io sia stato vittima di una specie di dipendenza da tutto ciò che quest'uomo significa.
Mi devo allontanare - e lo faccio proprio fisicamente: mi scosto dalla scrivania e dallo schermo del computer sul quale ancora appare l'ultima pagina della sceneggiatura di Keller.
Quello che sta accadendo non mi piace.
Voglio prendere le distanze.
Rimane il desiderio di farne un documentario e mi entusiasma pensare che questa sottile malattia che m'è presa, possa diventare il vero argomento d'un'altra storia più mia, che mi appartiene più intimamente. Un po' come se, attraverso Bruno Keller, io possa parlare di me. Questa cosa mi piace.
Con questa idea in testa riesco ad andarmene a letto e, facilmente, a prendere sonno.

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