sabato 28 febbraio 2015

5. Le ragazze del porno (un post di Bruno Keller)

Alla fine l'incontro è saltato. Mi è sembrato esagerato impegnare anche il sabato sera con Bruno Keller. E, certo, non voglio che diventi una mania. Scrivere su di lui, fare il documentario, seguirlo nella realizzazione del suo film mi sta bene. Ma devo prenderne un po' le distanze.
Per questo mi ha inquietato molto il suo messaggio. Ho sentito che tale presenza sta diventando persecutoria anche se spero di sbagliarmi.
Il messaggio rimandava al suo blog con un ultimo post dedicato a questo gruppo di donne che sta realizzando un film porno a episodi, a quanto ho capito.
Ho ritrovato certe affermazioni di Keller che chiariscono nuovamente quello che è il suo pensiero ossessionante anche se, in questo caso, la prende un po' alla lontana.
"Non capisco cosa c'entri il pensiero femminile con il mondo del porno. L'adorabile pornografia rimane espressione di un egoismo maschile dal quale la donna, grazieadio, è esclusa. Nel porno, il parametro di riferimento resta il maschio, il suo pene e il suo piacere. Le donne che partecipano a questi film si adeguano ai desideri non solo del maschio ma del pensiero maschile. Per lo più sono dirette da un regista e quelle rare volte che a dirigerle è una donna, anche il quel caso rimane saldo il principio che è il maschio che deve godere. Il suo piacere visibile gratifica la propensione d'immedesimarsi nell'altro, di aderire perfettamente, fisicamente, al corpo dello stallone di turno. La donna, in questi film, è "addomesticata", relega il proprio piacere nelle pieghe di quello del partner. Mi auguro che il film che queste donne stanno realizzando sia capace veramente d'invertire una rotta, di sconvolgere intimamente un genere, raccontando quelli che sono i desideri del corpo femminile, desideri che spesso galleggiano in una zona molto profonda del proprio immaginario. Mi rimane sempre la sensazione che le donne, anche quelle che affermano la centralità della loro persona, corrono sempre il rischio di confondere il proprio piacere con quello che, generosamente, offrono al loro uomo".
Keller continua con la sua dissertazione, la declina, fa esempi, rimanda a studi, a riflessioni altrui (Alberto Abruzzese in primis). Inizia a salirmi su un po' di nausea. Spero mi passi. Scendo a fare quattro passi. Ho bisogno di aria.

venerdì 27 febbraio 2015

4. Sesso: femminile plurale (secondo Bruno Keller)

"Allora? Cosa le è parso? Un porno, no?"
Mi coglie di sorpresa. Stranamente la sceneggiatura di Mal'essere mi è piaciuta, ma proprio come struttura narrativa, proprio per come porta avanti la storia. Ora non mi va di fare una sviolinata, anche se sarei tentato di dirgli solo cose buone. Mi andrebbe di parlare bene dei personaggi e del finale, della progressione drammatica e della declinazione tematica. Avrei voluto iniziare partendo dalla tecnica e dalla poesia, non dal sesso - troppo banale.
"No, non credo sia un porno. E, a dirla tutta, mi è piaciuto, sì, proprio mi è piaciuto, nonostante il protagonista così negativo, così terribilmente antipatico."
"Già. Questa è una delle cose che non va giù ai produttori o, meglio, a chi deve mettere i soldi. Pensano che un protagonista così negativo allontani il pubblico. Magari hanno pure ragione. Cosa prende?"
"Una birra va bene."
"Mi chieda qualcosa. E' lei che deve fare il documentario."
"Mentre leggevo la sceneggiatura mi è venuto da pensare che potesse essere lei il protagonista della storia. Fisicamente credo le assomigli."
"Ah, si è fatto un'idea tanto canaglia di me?"
"Non credo che il protagonista sia una canaglia. Anzi, Mi sembra un uomo così appassionato..."
"Beh, questa cosa mi piacerebbe condividerla. Ma non credo che sia, in effetti, nelle mie corde. Qui lei diventa troppo ottimista, mostra troppa benevolenza verso di me. No, il protagonista non mi somiglia affatto. Tranne che per questa fame di sesso che lo divora, che non gli permette di crescere, di guardare altrove, di fare le cose per bene. Condivido la sua smania per il godimento, questo sì. Ho una visione molto femminile del sesso, molto più femminile di quella che si portano dentro tante donne che ho conosciuto. Molte donne pensano al sesso come se fossero degli uomini."
"In che senso?"
"Mah, hanno un immaginario molto maschile e l'unico desiderio che si portano dentro è quello di far godere l'uomo che le sta montando. Il piacere personale è ridotto al minimo, non è l'obiettivo principale..."
Sorrido un po' ebete. Proprio non so che dire. Mi sembra un argomento sul quale mi sento totalmente impreparato. E spiazzato. Perché pensavo di parlare di cinema e del lavoro di preparazione che sta facendo. Evidentemente sono io quello che non ha capito. Quest'uomo vuole mettersi a nudo, mi presta il fianco e io divago, mi accontento di terreni più tranquillizzanti, meno pericolosi. E' che, sotto sotto, penso che ce l'abbia con me, che voglia dirmi qualcosa, che si diverta a mettere in scena qualche mia mancanza, qualche aspetto troppo superficiale del mio vivere. Dov'è finita la mia anima da documentarista? Il gusto della scoperta d'un volto, d'una storia che sta già tutta nelle rughe della pelle. La verità sta nel fatto che quest'uomo mi spiazza, mi imbarazza e, al contempo, mi attrae. Non è affascinante: è carismatico. Le sue anomalie, i suoi difetti, questa concretezza che ha sempre nel parlare, la chiarezza negli obiettivi e la sincerità con la quale espone i suoi difetti, lo rendono immediatamente interessante - eppure i suoi lineamenti sono imprecisi, non rimandano a nessun godimento estetico immediato.
Butto lì una cosa, tanto per dire la mia: "Non tutte le donne sono così, no?"
"Che ti devo dire? Quelle che ho conosciuto io avevano un'educazione talmente maschile che rimanevano stupite se spostavo l'attenzione da me a loro."
Improvvisamente mi da del tu, ma è come se stesse parlando a se stesso, come se stesse riflettendo ad alta voce.
"Nel sesso contano molto le pause. E il ritmo. L'uso dei sensi, di tutti i sensi. Li puoi far viaggiare uno alla volta e, poi, improvvisamente, tutti assieme. Parti dal senso più primitivo, l'odorato. Magari puoi dimenticare per un po' il tatto. Puoi concentrarti sul gusto. E sulla vista. Ecco, noi maschi siamo bravissimi a guardare i film porno ma il corpo di chi ci sta vicino... beh, quello, puntualmente lo ignoriamo. Ci fidiamo della memoria. Di quel tempo in cui eravamo attratti da quel viso, da quei lineamenti. Poi, una volta a letto, dimentichiamo tutto rapidamente."
Mi guarda, sornione. "Lei condividerà."
"Prima mi ha dato del tu."
"Come preferisci. Cosa importa?"
"Hai una visione molto precisa del sesso. Anche se il tuo film si porta dentro tante altre cose."
"Io non sono il protagonista del film. Sono proprio tutto il film. Quella cosa che hai letto e che, magari, ti ha fatto cagare, sono io, è il mio corpo. Non c'è una parola che non mi appartenga. Per questo è così rozza e imperfetta."
"A me non pare né rozza né imperfetta" e, questa cosa, a sentirla, è come se lo infastidisse. Diventa improvvisamente diffidente. Il mio garbo gli deve suonare male, una debolezza che chiaramente non apprezza.
"Nella sceneggiatura tratti il sesso come strumento di prevaricazione."
Questa affermazione lo distrae.
"Non so... Se ti ha dato questa sensazione..."
"Il protagonista ne è soggiogato."
"E' quello che ti dicevo prima. Puoi essere accecato dal sesso. E' una dipendenza. Vedi tutto attraverso quell'ottica lì. Non riesci a immaginare una vita oltre questa tua esigenza primaria, volgare e primitiva. Sono tutte parole che mi piacciono."
Mi sembra che il discorso stia prendendo una buona piega. E io mi sto rilassando, mi sto allineando a questo suo modo di fare, a questa sua necessità di verità a tutti i costi.
Gli squilla il cellulare. Risponde, la voce gli si fa improvvisamente roca. Farfuglia qualcosa, chiude la comunicazione.
"Scusa", mi fa "devo andare. Un problema. Niente di grave. Se vuoi, riprendiamo domani."
"Ma domani è sabato."
"E allora?" fa lui.

giovedì 26 febbraio 2015

3. Una sceneggiatura inquietante: "Mal'essere" di Bruno Keller

Quando sono rientrato, stanotte, mi sono accorto che Bruno Keller mi aveva spedito la sceneggiatura del suo film, Mal'essere.
Ho iniziato a leggerla e andavo avanti spinto da certe aberrazioni che non avevo previsto.
Effettivamente la storia si porta dentro e addosso un che di perverso, di maniacale, di offensivo, che continua a perseguitarmi, che mi allontana e che, al contempo, mi tiene stretto.
Mi sento addirittura offeso da certe affermazioni che, fin dalle prime righe, mi schiaffeggiano senza ritegno. C'è qualcosa di insano in queste pagine e, al contempo, di sacrosanto. Inizio a capire cosa intendesse, Keller, per "verità", e come fosse maturato e reso intimo il suo odio per tutto ciò che è "finzione". Verità diventa sinonimo di sincerità assoluta, perfetta, sensibile, indiscutibile. E io non riesco a fare a meno di confondere il protagonista di Mal'essere con Bruno. Mi viene da dire che non può non essere lui - lo stesso sguardo malinconico, la stessa furia, l'ossessione quasi patologica per un sesso tutto volto e declinato al femminile - strano a dirsi per uno come Keller, lo so.
Mi è venuta voglia di chiamare il mio amico giornalista, quello che mi ha presentato Bruno, ma sono le due di notte. Ho bisogno di un confronto, di qualche chiarimento. Bruno Keller sta diventando improvvisamente invadente nella mia vita - è lui che mi obbliga a scrivere, uno scrivere che non va corretto, pena la perdita della verità, appunto.
Che racconto è questo? Un che di maledetto, di fortemente contraddittorio. La storia di un insegnante che perseguita una sua collega, la sua ex amante, perché la sola capace di portarlo a quel godimento sublime, l'unico per il quale vale la pena fare l'amore. E, poi, l'entrata in scena di una ragazzina, una sua alunna - impavida, volgare, violenta, sensuale, bastarda, figlia e nipote di camorristi. Una periferia napoletana che solo tangenzialmente (e, proprio per questo, più intimamente) ha a che vedere con quanto detto finora da altri, con quanto ci viene ripetuto in continuazione in televisione. Un malessere che ha a che fare con una psicologia della città, della metropoli, qualcosa che appartiene finemente all'aria, una polvere che entra nel corpo senza colpo ferire, senza lasciare traccia, senza lacerare la pelle.
Mal'essere è questo. E il protagonista è uno stalker, uno che rischia di macchiarsi di indicibili peccati, un essere abbietto che pure ha una debolezza che lo rende irrimediabilmente umano, passionale, indecente e vero - ancora.
Di tutte le porcherie che pratica con la sua nuova amante, una bidella, c'è da farne un bestiario. Un'amante che serve al misero scopo di far ingelosire la sua ex compagna... Ma, anche in questa azione, la cattiveria è di livello inferiore - c'è un rispetto riguardo al corpo della donna che, in qualche modo, rende accettabile la relazione,  relazione i cui termini chiarifica in modo inequivocabile.
Bruno Keller mi costringe a mettermi in gioco, a mettere in gioco il rapporto che ho con le donne. E' questo il territorio entro il quale nasce e si sviluppa la mia inquietudine. La storia di Mal'essere mi spinge e mi obbliga a dire la mia.
Eppure mi ripeto che non è possibile che, in un tempo così breve, io sia stato vittima di una specie di dipendenza da tutto ciò che quest'uomo significa.
Mi devo allontanare - e lo faccio proprio fisicamente: mi scosto dalla scrivania e dallo schermo del computer sul quale ancora appare l'ultima pagina della sceneggiatura di Keller.
Quello che sta accadendo non mi piace.
Voglio prendere le distanze.
Rimane il desiderio di farne un documentario e mi entusiasma pensare che questa sottile malattia che m'è presa, possa diventare il vero argomento d'un'altra storia più mia, che mi appartiene più intimamente. Un po' come se, attraverso Bruno Keller, io possa parlare di me. Questa cosa mi piace.
Con questa idea in testa riesco ad andarmene a letto e, facilmente, a prendere sonno.

mercoledì 25 febbraio 2015

2. Bruno Keller, prima intervista (come si prepara un film)

Un boxeur imbolsito, la barba di qualche giorno - Bruno Keller mi dà appuntamento in un pub su Via Merulana.
Ha un'età indefinita così com'è indefinito il colore dei capelli e quello degli occhi. Veste in modo vagamente sciatto, comodo senz'altro. Avrà comunque cinquant'anni o giù di lì.
Mi squadra, analizza con attenzione i miei movimenti. Mi trasmette un senso di instabilità, di intelligenza non pedante - più di una volta ripete d'essere una persona ignorante ma deve far riferimento a qualcosa che non colgo.
Odia la politica e il proprio lavoro di regista televisivo. Mi racconta di quando girava certi documentari etnografici e il suo volto s'illumina. Mi dice che adora i primissimi piani della gente - il tentativo ultimo di carpire qualcosa dell'altro. E che odia i dettagli - fotograficamente parlando - che trova leziosi.
Mi dice che, oggi, nel cinema come in televisione (per non parlare del web) si muove troppo la macchina da presa, a testimonianza d'un'inconsapevolezza ("chi muove troppo la macchina confessa di non sapere qual è il suo punto di vista" - mi appunto rapidamente queste cose).
Ma quando mi chiede "cosa vuole da me" sussulto perché, in effetti, non so esattamente quale sia la mia richiesta. Farfuglio qualcosa: "So che sta per iniziare un suo film".
"Mal'essere, il mio primo lungometraggio. Un'opera tardiva..."
Sorrido. "Mi piacerebbe seguire questa fase... prima che inizi a girare."
"Vuole seguire il casting?"
Ecco, perché no?
"Cosa vuol fare?" incalza, "un documentario su come si prepara un film?"
Mi sta offrendo un'idea - o un suo desiderio latente, un vezzo. "Esatto", fingo una sicurezza che non ho ancora.
"La sceneggiatura è chiusa..."
"Lo so."
"Sono anni che lotto per girare questo film. I matti ai quali ho fatto leggere la sceneggiatura erano tutti contenti, andavano su di giri. Ho conosciuto un sacco di produttori folli. Ma, poi, non se ne faceva niente. Troppi problemi il film, troppo scarsi loro..."
"Lo so."
Si ferma un attimo. Mi osserva. Uno sguardo curioso di cui non colgo il senso.
"Il mio film narra di un insegnante di scuola media sessuomane."
Fa una pausa. Forse s'aspetta che io dica qualcosa, che mi stupisca.
"Non è un porno".
Mi evito di dire "lo so".
Lui cambia posizione, si accomoda sulla sedia. "A volte mi diverto a dire che lo è, ma lo dico per incuriosire. In realtà voglio solo che le scene di sesso non siano simulate, questo è quanto. Di sguardi finti ce ne sono già troppi in giro. La finzione mi fa schifo. Fuori dalla verità, l'arte non ha senso".
Mi guarda e aggiunge, quasi come se ce l'avesse con se stesso: "Non faccia caso. Anche le frasi a effetto mi fanno schifo."
"Mi piacerebbe farle un'intervista sulla sceneggiatura, una cosa da riprendere in video, se le va."
"Ha bisogno d'un operatore? d'un fonico?"
"Farei tutto io. Una cosa semplice..."
"... e rozza, come me. Mi sta bene."
Non volevo dire questo. Si alza. La prima chiacchierata è finita. Paga il conto.
"Oggi vado di fretta. Quando vorrebbe iniziare?"
"Anche domani, se per lei va bene."
Continuiamo a darci del lei in un ambiente in cui il tu è d'obbligo.
"Mi dia qualche ora. Le faccio sapere." Va via, senza voltarsi.

martedì 24 febbraio 2015

1. Un documentario su Bruno Keller, regista

Arrivo in RAI quasi per caso: m'avevano chiesto di parlare in una trasmissione che va di notte e che non vedo mai.
Incontro lì un giornalista mio amico. Mi offre un caffè. Mi dice: "Ma lo sai che fanno girare il film a Bruno?"
"Bruno chi?"
"Bruno Keller. Non lo conosci? E' un mito. Sono trent'anni che rompe le scatole con questo film e, ora, glielo fanno fare."
"Ah, sì?" - cerco di ricordare qualcosa a tale proposito ma non mi viene giù niente.
"Oddio, gli danno quattro soldi. Ma lui è certo di farcela lo stesso. Un tema così... ostico... Dovrebbe interessarti: sesso e scuola."
Sembra un porno - mi dico. E, sì, mi interessa. Sono un insegnante e m'intriga perché anch'io sono anni che cerco di girare una cosa sulla scuola che non sia una delle solite cagate - con gli insegnanti angeli o con quelli indemoniati. La cosa mi prende subito - l'intuito mi dice che c'è qualcosa d'interessante in ballo. Ma devo andare, mi chiamano per la registrazione.
"Mi aspetti?", chiedo al mio amico.
Lui fa di sì col capo. "Ti aspetto giù".
Perfetto - mi dico.

L'intervista è stata rapidissima. Il conduttore mi mette al corrente che taglieranno ulteriormente - "Altrimenti, sa, il pubblico si annoia". Gli stringo la mano ma lui è con la mente altrove - sembrava tanto interessato alle cose che gli andavo raccontando. Assentiva e diceva vedrà che il ministro ne terrà conto...

Trovo il mio amico che chiacchiera con una valletta - ma questo è, forse, un termine che non si usa più. Mi vede arrivare, mi fa occhio. Siamo di nuovo al bar. "Vado in onda di notte". "Anche tu!" gli faccio. Lavora in radio. Ha una bella voce e un piglio intelligente - ci mette passione in tutto ciò che fa.
"T'ha preso, eh, 'sta cosa di Bruno?"
Certo che m'ha preso. "Allora?"
"Gli fanno girare il film. Ma non c'entra niente la RAI, figurarsi! Ho letto la sceneggiatura. Sembra un porno ma... non è male, davvero"
"Già... la maestrina, gli alunni..."
"Macché, dai, no, scherzo. C'entra il sesso ma non quelle cose lì. Bruno è uno rozzo ma ha un cervello fino, molto dolorante..."
"Ma chi è?"
"Lavora qui da sempre. Gli fanno fare qualche fiction, di tanto in tanto. Ma è stato anche regista di certi telegiornali... Li odiava, gli faceva schifo fare quel lavoro ma andava avanti, testardamente."
"Ma il film?"
"E' lui a dire che è quasi un porno. Solo perché aveva previsto scene di sesso esplicito, non simulato. Ha un po' come te l'indole e le fisse del documentarista..."
"Vabbe'... di cosa parla?"
"Mal'essere... Guarda, te lo faccio dire da lui. Te lo chiamo e vi faccio incontrare. Così lo intervisti... magari ci fai un documentario... E' questo che avevi in testa? Di' la verità."
Sorrido, lo vedo smanettare col cellulare. Bruno gli risponde quasi subito. Lo incontro domani.