sabato 22 marzo 2014

LA CREPA - capitolo primo

Prima notte

M’ha svegliato un rumore sottile. Forse me lo sono sognato. E il cuore batte come un martello. Tum-tum, tum-tum, e non mi lascia dormire, riprendere questo sonno agitato che non m’abbandona da giorni. Una paura innaturale circola nelle mie vene e non ne capisco il motivo anche se, improvvisamente, per un attimo, smetto di respirare e ho la sensazione che qualcosa aliti nella mia stanza. Deve essere uno spiffero d’aria che scivola sotto l’anta della porta e attraversa questo basso nel quale sono rinchiuso e che m’ostino a chiamare “casa”. Respiro a fatica, in modo irregolare; stavo dormendo e qualcosa m’ha svegliato. Non sono venuto fuori da un incubo, ci sto cadendo dentro. C’è qualcuno nella mia stanza. Pensiero immotivato. Qualcuno è vicino a me e, nel buio assoluto, non posso vederlo e non voglio sentirlo. Sarebbe atroce percepire un respiro non mio.
Potrei accendere la luce ma è l’ultima cosa che voglio fare: io non voglio vedere NULLA. Mi sono svegliato con un sobbalzo, come se mi stessi strozzando, e, per un attimo, non ho riconosciuto il posto, il letto. Dove sono? Ora lo so.
Cerco di riprendermi, di mettere ordine tra i miei pensieri. Devo partire da ieri sera, da quello che ho fatto ieri sera, devo ricordare se ho chiuso bene la porta, se ho messo i fermi alle finestre. Maledizione, vivo in un basso! Sono sulla strada. Apro la porta e sono sulla strada. Niente scale, niente corridoi. Solo una stanza che dà sulla strada. Magari è entrato un cane, un cane randagio, un maledetto essere randagio, che io spero sia un cane, ma anche se fosse uno stupido cane, comunque morirei di paura. E poi, e poi, perché non guaisce, perché non abbaia, perché non ansima? Non può essere un cane. Che idiota! Potrebbe essere un topo. Se un topo ti azzanna ti uccide. Ti infetta e tu ti ammali e, poi, soffri e, poi, muori. Se ora, per un attimo, non respiro, sono sicuro che sentirò un altro respiro e se questo succede io impazzisco.

Sono paralizzato da un po’. Ho provato anche a non respirare ma non sento niente. C’è il mio respiro e basta, non c’è altro.
Ecco, ecco. Ancora una volta. Ho sentito qualcosa strisciare! Non posso sbagliarmi. Se ne avessi il coraggio, allungherei il braccio, afferrerei la cornetta, comporrei il numero e chiamerei la polizia. La polizia. Verrebbe la polizia a casa mia? Se dico che c’è qualcuno in casa, che ho beccato qualcuno in casa, la polizia viene. Ma se questo qualcuno mi sente, scopre che sono sveglio, finisce che mi uccide, che mi colpisce con un’accetta. In Delitto e castigo, il giovane uccide la vecchia con l’accetta e io, quella scena, me la sono impressa bene nella mente, si è stampata così forte nel cervello, che non posso fare altro che pensarci e ci penso anche adesso, quando un assassino sta scivolando sul pavimento e viene verso di me e sta per uccidermi. Ma io cosa ho fatto di male? Niente, io non ho fatto niente e questa è solo una terribile sensazione che sto vivendo. Forse sono rumori normali, un’eco di qualcosa che è lontanissima e che a me pare un’inquietante entità che scivola sul pavimento. Sì, deve essere così e, mentre allungo la mano, non mi succede niente, ecco, vedi?, io allungo la mano e non mi succede niente. La agito nel buio davanti a me e non mi succede niente. Afferro la cornetta del telefono e non mi succede niente. Compongo il numero. “Polizia? Polizia? Sì. Sono Giona Michetti… abito in Via del Carmelo 23. C’è qualcuno in casa, sì, è per questo che parlo a bassa voce. Forse è un ladro, non lo so. Sento… qualcosa che scivola sul pavimento… sì, scivola, struscia, non so… Mandate subito qualcuno? Vi ringrazio. Io aspetto qui. Non possiamo continuare a parlare mentre mandate qualcuno? Ah, ho capito…”

Mentre due poliziotti girano per il mio minuscolo appartamento, il commissario continua a guardarmi e a sorridermi. Rigira tra le labbra una sigaretta spenta da poco.
Quando hanno finito di perquisire, lui, che per tutto il tempo è rimasto in silenzio, con le mani nelle tasche del cappotto grigio, mi chiede se sono “forestiero”.
“Abito qui da poco… Però sono napoletano. Ho vissuto gli ultimi quindici anni a Pescara…”
“E perché è ritornato, signor Michetti?”
“Mi sono separato…”
“Ah.”
“Sì, ma… di comune accordo…”
“Lei la tradiva?”
“Mia moglie?”
“No, dico lei, lei!”
“Ah. No. Per niente. Non eravamo d’accordo su di un punto: lei voleva dei figli, io no.”
“Se n’è andato solo per questo?”
“No. Lei… ha iniziato a frequentare altre persone.”
“Capisco.”
Faccio un sorrisetto ebete. Cos’avrà capito questo tizio, questo ispettore, questo poliziotto che, invece di aiutarmi, cerca di ficcare il naso negli affari miei?
“E la casa?”
“Era dei miei nonni.”
“Ah, quei due erano suoi nonni.”
“Sì… da parte di madre. Perché?”
“Lo sa che vendevano sigarette di contrabbando?”
“Ah” faccio io. “No, non lo sapevo.” È vero: non lo sapevo. Che figura di merda! I miei nonni erano contrabbandieri! Ecco perché mio padre non li sopportava e non ci andava d’accordo!
“Non mi piace la sua famiglia, glielo dico francamente.”
“Ma io faccio l’insegnante…”
“Dove insegna?”
“Alla Giovanni Verga.”
“Cos’è? Un liceo?”
“No. È una scuola elementare.”
“Ma allora lei è un maestro!”
Sì, e allora? Questo mi sta sulle scatole e, se penso che dovrebbe difendermi, mi viene la pelle d’oca. Comunque cerco di essere educato: “Sono un maestro, ma sono laureato…”
“In cosa è laureato?”
Cavolo, non me ne fa passare una! Comunque dico: “In Lettere.”
Questa volta è lui a fare un sorrisetto.
“Signor Michetti, a casa sua non c’è nulla. Avrà sognato qualcosa… Avrà avuto un incubo. Oppure sono i rumori di una vecchia casa… da quanto tempo è qui, a Napoli?”
“Da quattro mesi.”
“Ecco, vede, troppo poco tempo. Questa è una città… vecchia, molto vecchia. Ci vuole tempo per capirla. Torni a dormire e cerchi di stare calmo. Il quartiere è infuocato. Ci sono troppe cose da tenere sotto controllo. Il male si annida dappertutto. Lei è una brava persona, ne sono convinto, ma, talvolta, anche le brave persone danno da fare… Torni a dormire. Non si inquieti più!”

Prima di uscire il commissario mi guarda per un’ultima volta. Mi lancia un sorrisetto d’intesa, forse ironico. Allora mi rimetto a letto, ma vestito, completamente vestito. 

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