Prima notte
M’ha svegliato un rumore sottile. Forse me lo sono
sognato. E il cuore batte come un martello. Tum-tum, tum-tum, e non mi lascia
dormire, riprendere questo sonno agitato che non m’abbandona da giorni. Una
paura innaturale circola nelle mie vene e non ne capisco il motivo anche se,
improvvisamente, per un attimo, smetto di respirare e ho la sensazione che
qualcosa aliti nella mia stanza. Deve essere uno spiffero d’aria che scivola sotto
l’anta della porta e attraversa questo basso nel quale sono rinchiuso e che
m’ostino a chiamare “casa”. Respiro a fatica, in modo irregolare; stavo
dormendo e qualcosa m’ha svegliato. Non sono venuto fuori da un incubo, ci sto
cadendo dentro. C’è qualcuno nella mia stanza. Pensiero immotivato. Qualcuno è
vicino a me e, nel buio assoluto, non posso vederlo e non voglio sentirlo.
Sarebbe atroce percepire un respiro non mio.
Potrei accendere la luce ma è l’ultima cosa che voglio
fare: io non voglio vedere NULLA. Mi sono svegliato con un sobbalzo, come se mi
stessi strozzando, e, per un attimo, non ho riconosciuto il posto, il letto.
Dove sono? Ora lo so.
Cerco di riprendermi, di mettere ordine tra i miei
pensieri. Devo partire da ieri sera, da quello che ho fatto ieri sera, devo
ricordare se ho chiuso bene la porta, se ho messo i fermi alle finestre.
Maledizione, vivo in un basso! Sono sulla strada. Apro la porta e sono sulla
strada. Niente scale, niente corridoi. Solo una stanza che dà sulla strada. Magari
è entrato un cane, un cane randagio, un maledetto essere randagio, che io spero
sia un cane, ma anche se fosse uno stupido cane, comunque morirei di paura. E
poi, e poi, perché non guaisce, perché non abbaia, perché non ansima? Non può
essere un cane. Che idiota! Potrebbe essere un topo. Se un topo ti azzanna ti
uccide. Ti infetta e tu ti ammali e, poi, soffri e, poi, muori. Se ora, per un
attimo, non respiro, sono sicuro che sentirò un altro respiro e se questo
succede io impazzisco.
Sono paralizzato da un po’. Ho provato anche a non
respirare ma non sento niente. C’è il mio respiro e basta, non c’è altro.
Ecco, ecco. Ancora una volta. Ho sentito qualcosa
strisciare! Non posso sbagliarmi. Se ne avessi il coraggio, allungherei il
braccio, afferrerei la cornetta, comporrei il numero e chiamerei la polizia. La
polizia. Verrebbe la polizia a casa mia? Se dico che c’è qualcuno in casa, che
ho beccato qualcuno in casa, la polizia viene. Ma se questo qualcuno mi sente,
scopre che sono sveglio, finisce che mi uccide, che mi colpisce con un’accetta.
In Delitto e castigo, il giovane
uccide la vecchia con l’accetta e io, quella scena, me la sono impressa bene
nella mente, si è stampata così forte nel cervello, che non posso fare altro
che pensarci e ci penso anche adesso, quando un assassino sta scivolando sul
pavimento e viene verso di me e sta per uccidermi. Ma io cosa ho fatto di male?
Niente, io non ho fatto niente e questa è solo una terribile sensazione che sto
vivendo. Forse sono rumori normali, un’eco di qualcosa che è lontanissima e che
a me pare un’inquietante entità che scivola sul pavimento. Sì, deve essere così
e, mentre allungo la mano, non mi succede niente, ecco, vedi?, io allungo la
mano e non mi succede niente. La agito nel buio davanti a me e non mi succede
niente. Afferro la cornetta del telefono e non mi succede niente. Compongo il
numero. “Polizia? Polizia? Sì. Sono Giona Michetti… abito in Via del Carmelo
23. C’è qualcuno in casa, sì, è per questo che parlo a bassa voce. Forse è un
ladro, non lo so. Sento… qualcosa che scivola sul pavimento… sì, scivola,
struscia, non so… Mandate subito qualcuno? Vi ringrazio. Io aspetto qui. Non
possiamo continuare a parlare mentre mandate qualcuno? Ah, ho capito…”
Mentre due poliziotti girano per il mio minuscolo
appartamento, il commissario continua a guardarmi e a sorridermi. Rigira tra le
labbra una sigaretta spenta da poco.
Quando hanno finito di perquisire, lui, che per tutto
il tempo è rimasto in silenzio, con le mani nelle tasche del cappotto grigio,
mi chiede se sono “forestiero”.
“Abito qui da poco… Però sono napoletano. Ho vissuto
gli ultimi quindici anni a Pescara…”
“E perché è ritornato, signor Michetti?”
“Mi sono separato…”
“Ah.”
“Sì, ma… di comune accordo…”
“Lei la tradiva?”
“Mia moglie?”
“No, dico lei, lei!”
“Ah. No. Per niente. Non eravamo d’accordo su di un
punto: lei voleva dei figli, io no.”
“Se n’è andato solo per questo?”
“No. Lei… ha iniziato a frequentare altre persone.”
“Capisco.”
Faccio un sorrisetto ebete. Cos’avrà capito questo
tizio, questo ispettore, questo poliziotto che, invece di aiutarmi, cerca di
ficcare il naso negli affari miei?
“E la casa?”
“Era dei miei nonni.”
“Ah, quei due erano suoi nonni.”
“Sì… da parte di madre. Perché?”
“Lo sa che vendevano sigarette di contrabbando?”
“Ah” faccio io. “No, non lo sapevo.” È vero: non lo
sapevo. Che figura di merda! I miei nonni erano contrabbandieri! Ecco perché
mio padre non li sopportava e non ci andava d’accordo!
“Non mi piace la sua famiglia, glielo dico
francamente.”
“Ma io faccio l’insegnante…”
“Dove insegna?”
“Alla Giovanni Verga.”
“Cos’è? Un liceo?”
“No. È una scuola elementare.”
“Ma allora lei è un maestro!”
Sì, e allora? Questo mi sta sulle scatole e, se penso
che dovrebbe difendermi, mi viene la pelle d’oca. Comunque cerco di essere
educato: “Sono un maestro, ma sono laureato…”
“In cosa è laureato?”
Cavolo, non me ne fa passare una! Comunque dico: “In
Lettere.”
Questa volta è lui a fare un sorrisetto.
“Signor Michetti, a casa sua non c’è nulla. Avrà
sognato qualcosa… Avrà avuto un incubo. Oppure sono i rumori di una vecchia
casa… da quanto tempo è qui, a Napoli?”
“Da quattro mesi.”
“Ecco, vede, troppo poco tempo. Questa è una città…
vecchia, molto vecchia. Ci vuole tempo per capirla. Torni a dormire e cerchi di
stare calmo. Il quartiere è infuocato. Ci sono troppe cose da tenere sotto
controllo. Il male si annida dappertutto. Lei è una brava persona, ne sono
convinto, ma, talvolta, anche le brave persone danno da fare… Torni a dormire.
Non si inquieti più!”
Prima di uscire il commissario mi guarda per un’ultima
volta. Mi lancia un sorrisetto d’intesa, forse ironico. Allora mi rimetto a
letto, ma vestito, completamente vestito.
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