venerdì 3 aprile 2015

14. Perché (e come) scrive Bruno Keller

Metto su una musica e sento che funziona. Allora inizio a scrivere. Ho una traccia. Bene o male so dove devo arrivare. Ma come sarà il percorso, accidentato o meno, con voragini paurose, con buche profonde o liscio e piano, questo non lo so. Ci saranno eventi che, lungo la strada, mi meraviglieranno, mi stupiranno. Zero noia. Una certa fatica. Cose che pensavo di non conoscere ma che, da qualche parte, stavano dentro di me - non so come siano arrivate fin lì.

Ho un'idea precisa del perché scrivo. E del come arrivo a scrivere, di ciò che mi serve per scrivere.

Affonda nella notte dei tempi...
Ho fatto un lungo tratto di strada ripetendomi questo stupidissimo e banalissimo incipit. Comunque sia, volevo dire che affonda nella notte dei tempi questa intuizione che vede nella musica e nella danza (avete presente i dervisci?), la possibilità, per l'uomo, di perdersi, di entrare, di scendere in una realtà "altra", che lo illude di poter vedere meglio, più chiaramente, più a fondo, in quelle che sono le tenebre dell'animo umano, in quella cosa oscura che, altrove, chiamano inconscio - un inconscio che non è sotto o dentro di noi, ma ci è attorno, vaga come frammenti, come asteroidi che vagano nello spazio - la loro presenza è, però, più fitta tanto che crea un reticolato che ci avvolge e che ci unisce agli altri.
Maghi, santoni, sciamani e matti: tutti praticano questa melma, sono capaci di sprofondare - con tecniche diverse - in questa realtà più nascosta, che ha a che fare con i sogni e, alla fine, con l'alterazione delle percezioni. Una specie di presonno che mantiene un barlume di coscienza, che crea questa sensazione di stare qui e, contemporaneamente, in un altro luogo. I matti, in tal senso, vengono esclusi...
Alterare le percezioni, tenere saldi i piedi sulla terra e, al contempo, poter osservare un altro mondo. Alcool e droghe rendono questo effetto. O, ancora, una respirazione forzata, un'indecente quantità di ossigeno che affolla il cervello. E anche, in parte, la meditazione, almeno in parte. Questa alterazione ci illude di poter mettere ordine e dare un senso all'esistenza - mettiamo ordine anche alla morte.
"Dover" scrivere è questo. Diventa una necessità utile alla sopravvivenza propria e a quella altrui.

Questa cosa l'ha scritta Bruno Keller. Dopo giorni che non lo sento, che mi evito di chiamarlo, d'inseguirlo, mi manda questo messaggio su whtsapp. Ci avrà messo un'ora a scriverlo - io ci avrei messo tanto. Ma lui sarà stato più veloce.
Allora lo richiamo, gli chiedo come va.
"Mah, che ti devo dire? Sono finito all'ospedale..."
"All'ospedale?"
"Mentre facevo footing..."
"Ma dove sei?"
"A Napoli. Ma rientro lunedì. Ci vediamo? Ho qualcosa da dirti."
"Insomma, come stai?"
"Bene, tranquillo. Sovraffaticato. Credo che c'entri anche l'eccitazione per il film che sto per girare..."
"Stai male per il troppo godimento?"
"Non scherzare. Quando mi prendevano gli attacchi di panico, un bel po' di anni fa, nessuno credeva che fossero un sintomo di una felicità galoppante..."
"Ma dai! Ho letto il tuo messaggio... Ti sei messo a scrivere?"
"Beh, la sceneggiatura non si è scritta da sola..."
"Vabbe'..."
"Scrivo sempre. Dovrei scrivere di più Dovrei leggere di più. E' che sono troppo pigro... Ti va di fare una chiacchierata con il mio aiuto regista?"
"Mi parlerà di Eva?"
"Che vuoi da Eva?"
"Mi intriga."
"Non c'entra niente. Ma sei libero di fare le domande che vuoi. Questo gioco va così, me lo sono imposto."
"Bene."
"Ti giro il numero. Così scopri come torturo i miei collaboratori, contento?"
"Come no."

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