lunedì 23 marzo 2020

Il cinema è morto, viva il cinema!


Vi racconto questa, anche se un po’ me ne vergogno, ma io, quando ero piccolo e mio padre mi portava al cinema - un tempo in cui lui poteva godere del film e, contemporaneamente, fumare: c’è stato un tempo in cui tutto questo era possibile, giuro - dunque, dicevo, che quando andavo al cinema con mio padre a vedere soprattutto western (e, spesso, era Sergio Leone a dirigere la storia), io ero convinto che, quando si accendevano le luci tra il primo e il secondo tempo, i personaggi e i cavalli e gli indiani e, insomma, tutti quanti, beh, finivano ai lati dello schermo, nelle quinte, proprie come se fosse una rappresentazione teatrale e lo schermo era, per me, il sipario dietro al quale si nascondeva tutto quel mondo che, fino a un attimo prima, era lì, vivo e palpitante, davanti ai miei occhi.
Vabbè, magari ero pure io che ero un po’ lento, fatto sta che, a un certo punto, tutta questa storia è finita e ho capito che tutto nasceva e finiva nel raggio di luce colorato che partiva alle mie spalle e che si spiaccicava sul telo ben teso posto a qualche metro da me.
Il sogno, in qualche modo, continuava, anche se sentivo che, già allora, aveva perso qualcosa di magico, di misterioso.
Mi stupisce pensare a Fellini che si chiedeva come fosse possibile che, davanti ai cinema dove venivano proiettati i suoi ultimi film, non ci fosse la fila. In qualche modo non vedeva o non voleva vedere quello che stava succedendo: il cinema, inteso proprio come struttura fisica, architettonica, aveva perso la sua aura fantasmatica: la televisione aveva trascinato le storie nelle case, a un palmo di naso dagli spettatori, e tutto questo aveva acceso definitivamente le luci nella sala: la sala era ora visibile - un semplice, osceno stanzone, con un’enorme quantità di sedie, per lo più scomode.
Le cose, poi, hanno preso la strada che tutti sappiamo, di cui tutti godiamo. La visione si è spappolata in quei device che ben conosciamo, il cellulare ha dominato, la comunicazione è diventata un assoluto, il contatto definitivo.
Ma le parole diventano, così, meno preziose perché tutto è facilmente duplicabile, moltiplicabile: copie su copie di mail, di fotografie, di battute, di parole, di saluti, di cazzate, di racconti (talvolta bellissimi). Se queste cose volessimo farle sparire, se volessimo bruciarle, non sarebbe possibile. Provate a uscire fuori dal web, si ci riuscite!
Dove prendete gli appunti? Sul cellulare o sul tablet, certo. I più vecchi utilizzano ancora il computer. Quegli appunti li potete preservare, li rendete immortali.
Ma se li veste scritti su un quadernetto, beh, allora sarebbero preziosi, il vostro quadernetto sarebbe prezioso, sarebbe prezioso perché mortale.
Qualche giorno fa ho incontrato degli amici. Con loro c’erano altri che non conoscevo: stavano bruciando dei quaderni. Ho detto al mio amico: Gino, ma che stanno facendo? E lui: Sai, un nostro amico è morto. Aveva tutti questi quaderni con gli appunti di una vita. Ci è sembrato un bel gesto fare questa cosa qui…
Non capivo. O, forse, sì (ve l’ho detto che sono lento).
Ecco, scrivere su di un foglio. Mi è sembrato che avesse a che fare col cinema, col cinema che una volta era un luogo misterioso, fatato, uno spazio magico dove uno andava a prescindere dal film perché, una parte importante del piacere, era proprio nel luogo che era, a sua volta, storia, storia raccontata (affanculo lo storyteller e tutto il resto). Credo che fosse questa la situazione  che sfuggiva a Fellini.
Insomma, è questa cosa fisica che sta sparendo.
Certo, anche la scrittura è sparita da un bel po’: la stampa l’ha già portata via. Sì, l’ha portata via, ma non abbastanza.
Perché un libro lo sottolinei, ci prendi gli appunti, ci metti su una data. Oppure ci lasci dentro un foglio o il biglietto del bus o del treno (già, anche queste cose non ci sono, certo). Poi, dopo anni, riapri il libro e trovi queste cose: fai un tuffo nel tempo e, questo, ti dà un godimento feroce, straordinario.
Può capitare che ci trovi dentro dell’altro, magari un fiore che non hai messo tu. Oppure, ecco, riscopri una dedica, una frase che uno, una volta, ha scritto, ha scritto a qualcuno, magari proprio a te. Quella cosa lì, il libro, è diventata preziosa - con tutte le sue orecchiette e le pagine strappate. Una volta le cose funzionavano così.
Qual è la direzione, allora? Smaterializziamo, perdiamo rapidamente il nostro corpo. Anche questo è giusto, è naturale. Forse miriamo a diventare tutto “anima”, anche questa cosa qui è bella, è straordinaria. La presenza tattile, sensibile, fisica sarà un ricordo che, lentamente, inesorabilmente, svanirà. Scrivere, recitare, mostrare le emozioni, ridere (spesso), piangere (qualche volta), tutte queste cose continueranno a cambiare, a rendersi sempre più sottili, replicabili, indistruttibili, come se il tempo possa avere un senso. Rimane una dolce nostalgia, una nostalgia incomprensibile, un sentimento strano e che non saremo più in grado di tradurre, un evento curioso che ci renderà perplessi e che durerà meno di un attimo, prima che si riaccendano le luci.

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